Il progetto visivo del catalogo di Andrea Sampaolo prende spunto dai suoi appunti. Tutto torna. Prima o poi tutto torna. Come insegna la teoria del tutto di Steven Hawking e di cui mi parla Andrea Sampaolo fra le mille altre riflessioni e considerazioni per presentarmi il progetto Deconstructing the Abstract. Torna perché una serie di apparenti casualità si incontrano, scontrano, mescolano e disegnano una silhouette all’interno della quale esplodono i colori e le forme di Sampaolo e le linee scultoree degli abiti di Sadie Clayton.
Da Roma a Londra per la mostra I Want Your Color – inaugurata all’inizio del 2016 – e dalla capitale inglese la volontà di ritornare nuovamente in America con un progetto in cui le tele e le installazioni in plexiglass di Sampaolo sono la potente scenografia per la collezione della stilista inglese. Componimenti concettuali e sintonie visive serrano il momento della passerella in un gioco di rimandi e citazioni.
Tutti i lavori di Sampaolo, inediti e originali, sono stati realizzati su grandi porzioni di satin di cotone a rafforzare, se ce ne fosse ancora bisogno, il legame materico a cui si allaccia l’artista e a sancire la volontà di esprimersi con altri medium e strumenti. Abbandonati gli attrezzi non convenzionali di cui – racconta – si era servito in passato, come forchette o coltelli, si riappropria di utensili che nell’immaginario comune appartengono al pittore: ritornano la spatola, il pennello, le mani, le bombolette e i colori acrilici. Aggiunge, però, anche acqua e tinta che Andrea getta direttamente sulle stoffe alla ricerca di trasparenze e luminosità. E poi c’è lo scotch: adoperato per isolare porzioni spaziali o definire le stesse, è parte integrante del processo compositivo: strappato da un supporto e riutilizzato su un altro porta con sé tracce di lavori precedenti, emozioni e sensazioni che il pittore non riesce ad abbandonare e trascina, quasi nostalgicamente, di quadro in quadro.
Sampaolo danza davanti e sulla tela, generando dopo la prima imprimitura gestuale sul tessuto la scansione spaziale e la qualificazione creativa del dipinto. È un lavoro fisico, quello di Andrea. È un lavoro che nelle sue più sincere intenzioni nasce e ricerca pulizia e sintesi, ma che diventa – dopo l’iniziale segno – corporeo, urgente e improcrastinabile. La foga di esprimere sentimenti ed impressioni irrompe senza nessuna diga protettrice: la mente e forse ancora più il corpo sono fiumi in piena che non possono essere dominati e che nell’alveo del supporto depositano reminiscenze personali, rielaborazioni individuali di ciò che l’occhio osserva e la mente incamera nel corso di giorni, settimane e anni. Tutto torna e ora più che mai è il caso dirlo, ritorna in America dove Sampaolo individua le aurore della contemporaneità e le identifica in nomi che ben si riconoscono anche nelle sue opere. L’importanza mnemonica è fondamentale: non è un lavoro sulla memoria ma è con la memoria, in un gioco di coppia serrato e esclusivo.
Adesso, seppur e nonostante questa carica espressiva, la voce della narrazione pittorica diviene più meditativa e intimista: i titoli dei suoi ultimi quadri manifestano un’attitudine nuova che emerge dai recessi psicologici dell’artista e che in titoli come DNA, Entropia o Desiderio Inconscio chiariscono bene quale sia il movente che ha lo spinto all’ideazione di queste opere. Quasi bisbigliando, quasi con reverenziale timore, Andrea confessa la conquista di una diversa e piena consapevolezza delle sua capacità creative; la maturazione professionale e personale emerge dai lavori di Deconstructing the Abstract e regala una pacata ma sicura serenità e chiarezza.
Silvia Colasanto
IL DISORDINE ORDINATO DEL COLORE
- L’astrattismo, rivoluzione contemporanea, mi rapisce per la sua spontaneità e semplicità, traducendo in istintuale ed anarchico l’approccio alla tela. Passione, curiosità e misticismo energetico del colore, proprie origini della ricerca artistica, mi conducono verso figure, che attraverso la contemporaneità dei mezzi multimediali, sintetizza manualmente sogni. Entropia in grado di misurare il disordine di un sistema, la fantasia, così ampio come l’intimità del sistema solare. Collegati in modo perenne a quest’ordine del disordine, rende l’opera inattaccabile legge reale, quale spontaneità del segno.
- Tutte le tele sono muri. Un muro di palazzo di città, un muro di metropolitana, ma anche il muro naturale delle caverne che accolgono le pitture rupestri. Il muro è uno spazio utopico, preculturale che rimanda all’immediatezza, alla spontaneità e si profila come luogo propizio per un’arte anarchica che tende alla sovversione degli ordini simbolici e dei valori estetici di città.
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